La vulvodinia è una patologia dolorosa che colpisce l’organo genitale femminile e affligge circa il 15% delle donne compromettendone seriamente la qualità della vita. Un test la può diagnosticare
La patologia è difficile da individuare. Infatti molte pazienti, dopo peripezie varie e esami obiettivi infruttuosi, vengono prese per malate immaginarie e continuano a vivere il problema per anni e in solitudine. E siccome i rapporti sessuali per queste donne sono dolorosissimi anche la vita a due può essere davvero difficile, anzi trasformarsi in un inferno.
La metà delle donne affette dalla vulvodinia lamenta dolore durante il rapporto sessuale e questo provoca fratture anche nella coppia. Solo il 60% di queste donne trova risposta al problema. Si comprende come la vulvodinia sia misconosciuta e non diagnosticata tanto che la paziente non viene trattata adeguatamente.
I sintomi della vulvodinia
La sintomatologia è varia ed è per questo che gli stessi ginecologici vanno sensibilizzati. Un test specifico per diagnosticare la vulvodinia esiste, ma il ginecologo deve tenere in considerazione, che tra le ipotesi di malattia ci sia anche la vulvodinia. Farmaci ‘prestati’ alla malattia che possono aiutare non mancano, ma va ‘indagata’ la paziente a 360 gradi.
Parola all’esperta
“La vulvodinia, e qui sta il problema principale, non è riconosciuta dagli stessi medici – spiega Federica Rossi, ginecologa presso l’ospedale Fatebenefratelli Isola-Tiberina di Roma. – Nella mia pratica clinica mi capita di incontrare donne che riferiscono di aver collezionato decine di visite specialistiche senza arrivare a una diagnosi. Per questo vanno sensibilizzate tanto le donne, ma soprattutto i medici al fine di acquisire competenze utili a diagnosticare la patologia. Il dolore riferito dalla donna a molti appare infatti ‘ingiustificato’ rispetto al risultato dell’esame obiettivo che è negativo perché il medico ginecologo non osserva spesso lesioni o alterazioni ai genitali.
Le pazienti al tempo stesso non riescono a compiere azioni semplici e quotidiane perché dolorose come: accavallare le gambe, eseguire gli sport come l’equitazione o la bicicletta, andare in scooter. Un altro elemento da valutare è il criterio temporale, cioè per parlare di vulvodinia il dolore deve essere circoscritto alla zona vulvare e deve durare da almeno tre mesi. Tutte queste informazioni messe insieme dovrebbero portare il medico a sospettare una vulvodinia”.
La vulvodinia fa spesso la sua comparsa tra i 30 e i 35 anni. Ma questo problema può arrivare anche più in là con l’età e coincidere con la menopausa caratterizzata da una mancanza di estrogeni che induce una modificazione della mucosa vaginale in senso atrofico e il tessuto vaginale cambia con il passare dell’età, diventa più rigido e quindi può provocare tale sintomatologia.
“Credo innanzitutto che vada accolta e ascoltata la paziente che spesso è disperata e arriva a pensare di essere pazza, ma pazza non è – ha proseguito la dottoressa Rossi. – Esiste una causa per cui queste donne hanno dolore e spesso si tratta della punta dell’iceberg di tutto ciò che succede dal punto di vista biochimico. Nelle donne che soffrono di vulvodinia si osserva una maggiore proliferazione delle terminazione nervose che alterano la percezione del dolore.
In più si associa una condizione di neuroinfiammazione che porta alla circolazione di citochine, mediatori dell’infiammazione, che appunto tendono ad infiammare la zona coinvolta. Si tratta di un ‘incendio’ biochimico e l’infiammazione sostenuta dalla caduta delle citochine, piccoli messaggeri che alimentano tale fuoco e determinano l’estensione del dolore. Succede di conseguenza che quando c’è l’infiammazione si attiva anche una risposta del muscolo della zona vulvare.
Anche il contesto familiare va valutato. Uno studio infatti ha dimostrato che nelle donne affette da vulvodinia c’è una correlazione con una storia di genitori diabetici. Infine non bisogna trascurare anche nella donne le problematiche gastrointestinali. Si evince insomma come la paziente che soffre questo disturbo va indagata a 360 gradi e non può essere il ‘solo’ ginecologo a prendere in carico la paziente ma serve un approccio multidisciplinare”.
Vulvodinia, la cura
“Quello che io propongo alle mie pazienti – conclude la dott.ssa – è di seguire delle corrette norme igieniche, per la detersione optare per saponi non profumati, utilizzare slip in cotone bianco, evitare l’attività fisica che può portare a traumi sulla regione vulvare, curare con i farmaci se c’è una candida.
L’approccio classico farmacologico alla vulvodinia è legato a farmaci che ci ‘prestano’ i neurologi e gli psichiatri che sono la amitriptilina che è un antidepressivo. Chiariamo bene che il ginecologo non prescrive questo farmaco perché la paziente è depressa, ma perché la sostanza riduce l’infiammazione che è la causa di molte patologie. Abbiamo la possibilità di usare anche gli antiepilettici che hanno la capacità di ridurre la trasmissione del dolore e quindi ci aiutano a placare il dolore provocato dalla vulvodinia.
Sempre studi recenti hanno dimostrato come siano utili altri farmaci più semplici come: l’acido alfa lipoico, la vitamina d, i probiotici che ci aiutano nella gestione della vulvodinia. E’ bene anche ricorrere ad un approccio olistico e quindi via libera all‘agopuntura, all’osteopatia e proporre dieta antifiammatoria che prevede uso buon quantitativo di omega 3, verdura a foglia verde, un adeguato apporto di carboidrati e all’interno di questa categoria privilegiare quelli a basso contenuto di glutine che sono infiammatori e non solo per chi è celiaco”.
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Dorotea Rosso
Fonte: Agenzia DIRE
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