Con 37 mila nuove diagnosi all’anno di cancro alla prostata, per la gestione e la cura di questa neoplasia si punta sulla prevenzione, chirurgia robotica e sulla radioterapia di precisione.
Ormai da vent’anni il robot è entrato nelle sale operatorie anche se è bene chiarire che il chirurgo dalla sala operatoria non uscirà mai. Con l’utilizzo del robot Da Vinci, la piattaforma più evoluta per la chirurgia mininvasiva presente a oggi sul mercato, la chirurgia urologica è diventata sempre più precisa, sempre più mininvasiva e rispettosa dei tessuti sani. Ne abbiamo parlato con il Prof. Fabrizio Dal Moro, esperto di chirurgia robotica, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia – Azienda Ospedaliera di Padova, la prima in Italia e la 27esima nel mondo secondo la classifica dei migliori ospedali.
Ascolta l’intervista al prof. Fabrizio Dal Moro nel podcast che segue.
Tumore della prostata e chirurgia robotica. Il “rispetto” dei tessuti sani, concetto strettamente correlato con le paure dei pazienti. Qual è la prima domanda che in genere le viene fatta dopo la comunicazione della diagnosi?
«Quando un uomo scopre di avere un tumore alla prostata – spiega il Prof. Dal Moro – emergono due grosse componenti: la prima è legata alla patologia , il cancro fa sempre paura, cala un velo scuro sugli occhi di molti, il timore che si tratti di una malattia incurabile. Il secondo aspetto è connesso proprio all’organo colpito, ovvero la prostata e soprattutto nei più giovani fanno paura le possibili conseguenze dei trattamenti: l’incontinenza e l’impotenza. La chirurgia robotica ha completamente cambiato il panorama chirurgico in particolare in campo urologico, soprattutto per il tumore alla prostata.»

Robotica, la chirurgia “gentile”
«Parlare di robot a volte spaventa i pazienti. È importante chiarire loro che non è il robot ad operarli, che si tratta di una macchina che permette di eseguire l’intervento senza tagli, utilizzando quattro piccoli tubi metallici (trocar) all’interno dei quali scorrono gli strumenti che vengono comunque manovrati dall’operatore, ovvero dal chirurgo, seduto ad una consolle e che può contare su una visione tridimensione dell’organo e molto ingrandita. Due joy stick permettono di muovere questi strumenti in modo estremamente preciso, quasi millimetrico.
Il risultato non si misura solo in termini di una ridotta invasività , di una ripresa più rapida e una degenza breve del paziente, ma nel differente e innovativo approccio per “rispettare” i tessuti. È una chirurgia “gentile”, appunto perché i tessuti non vengono tagliati ma scollati l’uno dall’altro e la gentilezza del gesto ha degli effetti: da un lato permette una maggiore sicurezza nella gestione della malattia, da un punto di vista della radicalità oncologica ci lascia tranquilli, dall’altro preserva le strutture cosiddette funzionali: la continenza e la potenza sessuale.
Dobbiamo immaginare la prostata abbracciata da una fittissima rete di nervi minuscoli che arrivano al pene e responsabili dell’erezione. Nei casi in cui è possibile solo scostare queste strutture molto delicate e quindi salvarle, il paziente può avere una vita sessuale quasi normale.»
Negli ultimi anni la chirurgia robotica ha fatto dei passi da gigante. Dove si può arrivare?
«Le previsioni limitano. Fino a qualche anno fa pensare ad una chirurgia robotica e dimettere il paziente il giorno stesso o quello dopo l’intervento, era inimmaginabile. Le innovazioni tecnologiche, le modifiche, i miglioramenti, hanno permesso di ottenere risultati incredibili. Ora ci stiamo spingendo ancora di più verso la fusione tra diverse tecnologie, la possibilità per esempio di unire realtà aumentata che permette di avere una sovrapposizione tra l’immagine reale e un’ immagine computerizzata.

Pensate di poter fare un intervento chirurgico nel quale le strutture anatomiche vengono evidenziate come se ci fosse qualcuno che ti dice: “In questo punto c’è un vaso, la neoplasia (tumore maligno) è qui, devi togliere solo quella e non il resto“. Tutto ciò può sembrare fantascienza in realtà è molto più concreto di quanto non si possa credere. Uno degli obiettivi dei prossimi anni è quello di integrare maggiormente queste diverse tecnologie per rendere meno impattante la chirurgia.»
Prevenzione, quando iniziare i controlli e soprattutto quali?
«Esistono diverse patologie in urologia dove la prevenzione è fondamentale. La prevenzione come diagnosi può essere fatta per numerose malattie in un modo molto semplice. Per quanto riguarda la prostata, con un esame del sangue per rilevare il dosaggio del Psa, ovvero l’antigene prostatico specifico che permette di scoprire se ci sono dei problemi, non permette di fare una diagnosi ma di attirare l’attenzione per iniziare un percorso diagnostico.

Alcune fasce di età sono più interessate da queste malattie e dopo i 45-50 anni una visita dall’urologo è importante. Ma la prostata non è l’unica ad ammalarsi. Il sangue nelle urine è un campanello d’allarme frequentemente sottovalutato. L’urina rossa può essere un grosso problema, indicare patologie serie e meno serie: dal calcolo renale o un’infezione urinaria a patologie gravi quali il tumore alla vescica molto spesso correlato agli stili di vita: il fumo di sigaretta, è il fattore di rischio più importante nella neoplasia della vescica e del rene. La prevenzione comincia da questo: non fumare o smettere di fumare.»