Per la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, un adeguato riposo notturno è fondamentale per le prestazioni cognitive e per prevenire l’insorgenza di disturbi del metabolismo Roma, 30 giugno 2014. “I bambini non dovrebbero mai andare a dormire; si svegliano più vecchi di un giorno e senza che uno se ne accorga sono cresciuti”. Per i sognatori e per gli amanti della poesia, James Matthew Barrie non aveva tutti i torti. Le teorie dello scrittore scozzese, noto per aver creato il personaggio di Peter Pan, probabilmente si sarebbero invece scontrate con quelle dei pediatri. “Il sonno – spiega la Dottoressa Elvira Verduci, componente del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) – è un processo fondamentale nella vita di ogni individuo e in età pediatrica contribuisce alla salute e alla crescita del bimbo. E’ recente l’ipotesi di una possibile associazione tra ridotta durata del sonno ed obesità. I cambiamenti dello stile di vita, con impegni legati soprattutto agli orari di lavoro, hanno reso comune l’abitudine di dormire meno”. Nel 2010 la National Sleep Foundation ha stimato che negli Stati Uniti la prevalenza di cosiddetti “short sleeper” (sonno notturno < 6 ore) si aggira intorno al 17-18%. Un trend simile nella riduzione della durata media del sonno si è potuto osservare anche in età pediatrica. Il 45% degli adolescenti dorme meno di otto ore a notte ed un ulteriore 31% tra le otto e le nove ore a notte. I dati della letteratura non forniscono un concetto univoco di “normale durata” e “deprivazione” di sonno. In età pediatrica, per ridotta durata del sonno si intende una durata variabile tra le otto e le undici ore per notte a seconda degli studi. La tabella mostra i valori per definire i soggetti ”short sleeper” a seconda dell’età pediatrica considerata.
“Oltre alle classiche conseguenze di un ridotto riposo come sbalzi di umore, irritabilità e difficoltà di concentrazione – aggiunge il Dottor Paolo Brambilla, Coordinatore Gruppo di lavoro della SIPPS “Obesità e stili di vita” – la durata del sonno sembra essere associata a patologie croniche: non solo obesità ed insulino-resistenza ma anche diabete mellito di tipo 2, disturbi cardiovascolari ed aumentata mortalità. La metanalisi degli studi pediatrici mostra come per ogni ora di sonno in più il rischio di sovrappeso e obesità risulti ridotto in media del 9%. Studi epidemiologici suggeriscono infatti che soggetti, sia adulti che bambini, definiti come “short sleepers” tendono ad avere un maggiore indice di massa corporea (BMI), una maggiore percentuale di grasso corporeo e una maggiore circonferenza della vita nei confronti di chi rispetta le ore di sonno raccomandate. Anche la regolarità, e non solo la durata media, del sonno sarebbe importante a fini preventivi”. Per spiegare l’associazione tra diminuzione delle ore di sonno ed aumentato rischio di obesità sono stati ipotizzati diversi meccanismi. Tra questi:
Categoria di “sleeper” | ||||
Età (anni) | Ore di sonno raccomandate | Shortest | Much shorter | Shorter |
< 5 | ≥11 | < 9 | 9-10 | 10-11 |
5-10 | ≥10 | < 8 | 8-9 | 9-10 |
≥ 10 | ≥9 | < 7 | 7-8 | 8-9 |
- Aumento dell’appetito, dovuto ad un’alterazione dei neuropeptidi coinvolti nella regolazione dell’appetito stesso
- Aumento del tempo disponibile per assumere alimenti ricchi di calorie durante la giornata
- Stanchezza e riduzione dell’attività fisica

