La pandemia da covid19 ha causato moltissimi cambiamenti nel campo sanitario, portando una profonda ristrutturazione in tempi molto stretti del sistema ospedaliero italiano. Ecco come i trattamenti per determinate patologie come l’ictus acuto vengono ora trattate da medici, chirurghi ed infermieri.

L’ictus acuto si fa spazio grazie ad un articolo redatto da un gruppo di neurologi
Di recente, la Dottoressa Marialuisa Zedde, neurologa presso l’Azienda Unità Sanitaria Locale – IRCCS di Reggio Emilia, è stata la principale autrice dell’articolo intitolato “Stroke care in Italy: An overview of strategies to manage acute stroke in COVID-19 time” (“Il percorso dell’ictus in Italia: panoramica sulle strategie necessarie per gestire l’ictus acuto durante la pandemia CODIV-19”) pubblicato sull’European Stroke Journal coinvolgendo una squadra di neurologi e la Federazione A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta All’Ictus Cerebrale) in rappresentanza delle persone colpite da ictus e di tutte le figure che vi ruotano attorno.
I dati annuali delle persone colpite da ictus
In Italia, si stima che, ogni anno, circa 120.000 persone vengano colpite da ictus, che si conferma la principale causa di disabilità e la seconda di demenza, con perdita di indipendenza nelle attività quotidiane. Il paziente con ictus acuto deve essere trattato in Unità di Terapia Neurovascolare o Stroke Unit, che, ad oggi, hanno raggiunto il numero di 190 sul territorio nazionale. Nel corso del 2018, le tre Regioni italiane che ad oggi sono state maggiormente colpite dalla pandemia (cioè Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) hanno effettuato più di 4.500 trattamenti di trombolisi e oltre 1.700 trattamenti endovascolari che corrispondono al 36,5% e al 41,2%, rispettivamente, di tutti i trattamenti effettuati in tutto il Paese.
L’emergenza COVID-19 ha improvvisamente modificato la geografia delle Stroke Unit, soprattutto nelle Regioni più colpite dalla pandemia.
Alcune dichiarazioni sull’ictus della Dottoressa Valeria Caso, neurologa
“La pandemia da COVID-19 ci ha messo di fronte ad una grande sfida nella gestione dei pazienti con ictus acuto – ha dichiarato la Prof.ssa Valeria Caso, neurologa presso la Stroke Unit dell’Ospedale di Perugia, Past President European Stroke Organisation e supervisore dell’articolo. “Ci sono però alcune considerazioni da tenere ben presenti: l’ictus è un’emergenza sanitaria ma, anche nel corso della pandemia, è stato garantito un trattamento di alto livello”. “In caso di una seconda ondata, i pazienti colpiti da questa patologia saranno gestiti con un “codice di protezione ictus” per evitare l’infezione e questa gestione si protrarrà anche durante gli eventuali trattamenti. Infine, gli sviluppi tecnologici della telemedicina, già applicata alla cura dell’ictus acuto in forma di telestroke in quei territori che sono geograficamente svantaggiati, possono sicuramente offrire – in alcuni casi – uno strumento adeguato per una corretta gestione anche del paziente cronico”.
Il COVID-19 ha rappresentato e ancora rappresenta una sfida per il sistema sanitario italiano e, di conseguenza, ha portato ad una radicale riorganizzazione dei percorsi regionali dell’ictus. In caso di una seconda ondata pandemica, i percorsi di trattamento dovranno essere abbastanza flessibili in modo da poter essere riadattati per il trattamento della fase acuta, la prevenzione secondaria e la riabilitazione attraverso l’uso della telemedicina, al fine di garantire il diritto di accesso alle cure della popolazione.
Per maggiori informazioni www.aliceitalia.org.
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