Un recente studio di gruppo di ricercatori del King’s College di Londra e dell’Università di Trieste guidato dal prof. Mauro Giacca ha evidenziato i danni provocati dal coronavirus sui polmoni. “Mai visto nulla del genere” hanno commentato gli scienziati. I risultati sono utilizzati per individuare farmaci per curare i pazienti Covid.Ascolta l’intervista al prof. Mauro Giacca, ordinario di biologia molecolare all’Università di Trieste e professore di Scienze cardiovascolari al King’s College di Londra, già direttore del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia. Con il prof. Giacca abbiamo parlato anche degli effetti a lungo termine del coronavirus e dei vaccini ormai quasi pronti per l’uso.
Ricerca sui polmoni
Danni ai polmoni mai registrati prima. Li ha evidenziati la ricerca sugli effetti del coronavirus sui polmoni condotta fra Italia e Gran Bretagna, da King’s College di Londra, Università di Trieste e Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (Icgeb) di Trieste e pubblicata sulla rivista Lancet EBioMedicine. A capo del gruppo di ricerca, il prof. Mauro Giacca.
Cellule anomale, molto grandi perché il nuovo coronavirus le spinge a fondersi con le cellule vicine e capaci di persistere a lungo: è così che i polmoni vengono danneggiati nei malati di Covid-19.
Questo, in estrema sintesi il risultato più importante della ricerca.
“Nella mia carriera non ho mai visto nulla del genere”, il prof. Giacca, parlando con noi di Radio Wellness, usa il commento della collega, professoressa Rossana Bussani che ha eseguito le analisi, per commentare i risultati.Rossana Bussani, docente di anatomia patologica dell’Università di Trieste Due i dati essenziali messi in risalto:
la massiccia presenza di trombi nelle grandi e piccole arterie e vene polmonari trovati in quasi il 90% dei pazienti e causati dall’attivazione anomala del sistema della coagulazione nei polmoni;
la presenza di una serie di cellule anormali, molto grandi e con molti nuclei, infettate dal virus anche dopo 30-40 giorni dal ricovero in ospedale.
Queste cellule derivano dalla capacità della proteina Spike del virus (quella che conferisce alle particelle virali la caratteristica forma a corona) di stimolare la fusione delle cellule infettate con le cellule vicine.
Serena Zacchigna, docente di biologia molecolare dell’Università di Trieste e dell’Icgeb, sottolinea: “Queste osservazioni indicano che Covid-19 non è soltanto una malattia causata dalla morte delle cellule infettate dal virus, come per altre polmoniti, ma anche dalla persistenza di queste cellule anormali infettate nei polmoni“.
Ricerca di farmaci che proteggano i polmoni
E’ il prof. Giacca a parlarci della ricerca. “Adesso stiamo cercando i farmaci per contrastare il virus. E’ difficile arrivare a medicine nuove in poco tempo, in media ci vogliono dai 5 ai 10 anni per avere una cura specifica per una malattia. Quindi ora l’unica possibilità è andare a vedere se qualcuno dei circa 4.000 farmaci già in commercio e approvati può bloccare la replicazione del virus, il danno che il virus provoca.Molti laboratori – ci ha spiegato il prof. Giacca – in questi mesi hanno lavorato sulla ricerca di questi farmaci già esistenti che possano debellare il virus ma purtroppo nessuno è risultato idoneo a questo scopo, o perlomeno nessuno si è rivelato altamente efficace. Noi quindi abbiamo pensato di fare un’altra cosa: cercare farmaci che possano proteggere i polmoni dall’infezione.Sempre sui 4.000 farmaci già in commercio ne abbiamo individuati un paio di interessanti, uno di questi è in fase di test su malati Covid in India, dove la pandemia sta producendo i suoi effetti tra i più devastanti, e attualmente anche qui in Inghilterra si sta discutendo del suo utilizzo”.
Sindrome del Covid lungo
Sappiamo che le persone con malattie pregresse sono più vulnerabili al Covid. “Quello che sta uscendo in queste ultime settimane – prosegue il ricercatore – è che anche persone giovani, in assenza di altre patologie, che magari contraggono il virus in forma “leggera” possono evidenziare un danno polmonare importante e che si protrae a lungo. Siamo in presenza della sindrome del Covid lungo.Anche a distanza di settimane o addirittura mesi dalla guarigione il paziente continua a lamentare soprattutto:
stanchezza
affaticamento
affanno
Ancora non ci sono studi completi su questo ma di certo cominciano ad esserci le prime indagini”.
La speranza del vaccino
“Se lei mi avesse chiesto del vaccino anti-Covid 15 giorni fa – conclude lo scienziato – le avrei dato una risposta molto dubitatitva. Oggi invece vendendo i risultati indipendenti sui 2/3 vaccini di cui si parla moltissimo devo invece dire che mi sento ottimista.Va detto che avere un vaccino che funziona non significa bloccare in un momento la pandemia, entrano in gioco fattori esterni alla medicina e alla ricerca come quelli economici, logistici, politici…” . Ma questa è un’altra storia.Mauro Giacca, ordinario di biologia molecolare all’Università di Trieste e professore di Scienze cardiovascolari al King’s College di Londra Link utili: articolo pubblicato su Lancet eBioMedicine Leggi anche il nostro articolo sul ruolo dei medici di famiglia nella futura somministrazione del vaccino
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